Renato Scarpa: “La mia vita in cerca del padre”

di Arnaldo Casali

“La mia vita è stata una bellissima avventura e sono contento di averla corsa, sono felice di aver avuto il coraggio di dire a mia madre: “Lascio l’università e vado a fare l’attore”.

In oltre cinquant’anni di carriera Renato Scarpa, morto il 30 dicembre 2021 a 82 anni, ha attraversato alcuni dei momenti più importanti della storia del cinema italiano.

Caratterista dei più noti e versatili, ha affiancato Carlo Verdone, Massimo Troisi, Luciano De Crescenzo, Nanni Moretti segnando con i suoi personaggi pietre miliari come Un sacco bello (il compagno di viaggio in Polonia), Così parlo Bellavista (il vicino di casa milanese), Ricomincio da tre (Robertino), ma anche Nel nome del padre di Marco Bellocchio, Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, Il postino di Michael Radford, The Tourist di Florian Henckel von Donnersmarck e Diaz di Daniele Vicari.

Nel 2013 ha ricevuto l’Angelo alla carriera alla nona edizione del Terni Film Festival, raccontando come la fede lo abbia salvato nel momento più oscuro della sua vita.

“Ho studiato architettura. Mia madre era vedova di guerra e faceva la parrucchiera e io mi divertivo molto ad aiutarla. Ma lei voleva che studiassi. Mi diceva: se vuoi fare il parrucchiere fallo, ma prima prenditi una laurea”.

Perché ha scelto architettura?

“Perché è il regno della fantasia. Sono cresciuto durante la guerra: ho aperto gli occhi su  mondo tutto rotto e sognavo di ricostruire le cose, di vederle intatte. Avevo questo bisogno di armonia, di bellezza. Milano era distrutta al 70%, i tram tirati da una corda e senza i vetri. Dicevo a mia madre: gli uomini sono pazzi, noi viviamo così poco e perdono tutto questo tempo a farci morire prima. Mio padre era morto in guerra, ad appena 28 anni”.

Come è esploso l’amore per il cinema?

“Mi incantava guardare negli occhi gli attori nei film. Adoravo la Magnani, la trovavo meravigliosa e ho avuto la fortuna di avere come compagno di scuola un figlio d’arte come Eugenio Monti Colla e quindi il destino mi ha messo il teatro nel banco di scuola. Avevamo messo insieme una piccola compagnia teatrale all’interno della Gioventù Studentesca milanese: si chiamava Il teatro tascabile e il primo testo che abbiamo messo in scena il  Matrimonio segreto di Cimarosa. Poi lui andò a lavorare con Orazio Costa e io lasciai l’università perché le matematiche mi avevano ucciso, e dissi a mia madre che volevo fare l’attore”.

Come glielo disse?

“’Se vado avanti così non riuscirò a fare né quello che vuoi tu né quello che voglio io. Non voglio arrivare a quarant’anni e chiedermi che attore sarei stato. Lo saprò. Se vuoi aiutarmi, aiutami’. Sapevo che lo avrebbe fatto. Mi sono iscritto al Centro sperimentale e poi al Piccolo Teatro di Milano, dove ho conosciuto Giuseppe Menegatti con cui ho fatto il primo ruolo importante nel Girotondo di Schnitzler. Lì mi vide Marco Bellocchio che doveva fare Il timore di Atene al Piccolo, ma io gli dissi che non ero preparato per fare Shakespeare. I registi si innamorano degli attori, ma se li deludono li odiano e io non voglio essere odiato. Poi nell’estate lui stava girando Nel nome del padre, io mi presentai e gli chiesi se si ricordava di me. Feci il provino e interpretai il mio primo sacerdote della carriera”.

E ha iniziato una lunga carriera ecclesiastica…

“Sì, ho fatto un domenicano terribile in Giordano Bruno di Giuliano Montaldo, poi il prete in Ladri di saponette e di Maurizio Nichetti e in tanti altri film, fino al cardinale che mi ha dato tantissime soddisfazioni di Habemus Papam. E sono particolarmente felice perché l’ho fatto con una persona che amo moltissimo come Nanni Moretti, con cui ho girato anche La stanza del figlio”.

Ha interpretato anche per ben due volte il Papa. E lo stesso papa!

“Sì, Pio XI: nella fiction tedesca su suor Pascalina e in Trilussa, dove pronuncio dei versi che amo molto: “Chi vive senza fede e senza amore non po’ sentisse l’anima tranquilla: la fede è l’acciarino che scintilla sulle speranze che c’avemo in core””.

Un papa molto discusso.

“E’ un papa conosciuto per la sua diplomazia. Fece il concordato con Mussolini e ha fatto una morte sospetta, perché morì la notte prima del giorno in cui doveva uscire l’enciclica contro Hitler e Mussolini – scritta dopo la promulgazione delle leggi razziali – che faceva decadere entrambi i due concordati. Questa enciclica però non fu più ripresa…”.

Quale è il suo rapporto con la religione?

“Essendo cresciuto senza padre, posso dire di averlo cercato per tutta la vita. L’adolescenza è stata molto difficile: ho avuto un esaurimento nervoso da cui sono uscito grazie alla scoperta della paternità divina. Mi sono affidato al positivo: beati gli amanti della giustizia, beati i misericordiosi, beati i  miti. E’ bello sapere che se anche tu non capisci nulla c’è qualcun altro che capisce”.

C’è un momento nella sua carriera che considera particolarmente importante?

“Sono talmente tanti… io sono stato molto fortunato: quando un ragazzo mi dice “Voglio fare l’attore” la prima cosa gli dico è: “Vai a Lourdes a chiedere la grazie alla madonna, perché noi possiamo adoperarci, essere appassionatamente legati al nostro lavoro, fare tutto quello che si può ma l’occasione per dimostrare la nostra preparazione, quella viene sempre dal cielo. L’importante è essere onesti con sé stessi e volere seguire fino in fondo la nostra passione in modo onesto, guardandosi allo specchio senza mezze misure e senza mai barare. Per questo quando ho lavorato con tutti questi registi già il fatto stesso che mi avessero scelto mi dava una gratitudine totale. Grazie a loro ho avuto soddisfazioni che non mi sarei mai aspettato. Mi madre diceva: ‘Studia, perché se fai il parrucchiere avrai solo denaro, se invece studierai un giorno andrai di fronte al presidente della Repubblica e non ti sentirai da meno. E io con Habemus Papam sono andato davvero di fronte al presidente della Repubblica!”.

da Adesso n. 48 – autunno 2013