Popoli e religioni

Quo vada il cinema italiano?

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di Arnaldo Casali

Lo confesso:  quest’inverno non sono andato a vedere Quo Vado? . E’ un film di cui ho sentito parlare talmente tanto male che quasi mi vergognavo, di andarlo a vedere.

Ora, dopo averlo finalmente recuperato alla rassegna Cinema Cielo all’Anfiteatro Romano di Terni, devo dire che effettivamente il film ha confermato tutti i miei pregiudizi. Quelli nei confronti dei critici, ovviamente

Perché è davvero difficile riuscire a parlare male di questo film restando in buona fede; mi dispiace dirlo, ma per stroncarlo bisogna
 essere invidiosi o spocchiosi e ideologizzati fino allo stremo; bisogna avere così poca stima di sé stessi da pensare che l’unico modo di sentirsi colti e intellettuali sia disprezzare tutto ciò che ha successo popolare. Perché Quo vado?, nel suo genere, è un capolavoro e il successo immenso che ha ottenuto è strameritato, con buona pace di Benigni, di Cameron e tutti i film che ha superato.
Il quarto film della coppia Checco Zalone-Gennaro Nunziante è il tipico esempio di film che manca al cinema italiano da almeno vent’anni, stretto com’è tra film “d’autore” insostenibili e inguardabili (vogliamo parlare delle Confessioni di Roberto Andò, della Corrispondenza di Giuseppe Tornatore, della Macchinazione di David Grieco? Per non parlare di tutto Bellocchio e affini?) e pellicole nazional-popolari che spaziano dall’immondizia dei cinepanettoni al sottovuoto spinto delle commedie-fotocopia con Claudio Bisio e sodali.
In un simile scenario (che quest’anno ha presentato comunque notevoli e felici eccezioni come i film di Mainetti, Genovese e Garrone), Quo Vado? è davvero una boccata d’aria pura da respirare a pieni polmoni. Perché fa ridere tanto, e fa ridere di gusto. E fa ridere in modo intelligente, con una satira leggera e feroce al tempo stesso, che stuzzica le sinapsi anziché addormentarle e ci fa ridere e vergognare al tempo stesso di come “ci facciamo riconoscere” quando andiamo all’estero.
La grandezza di Zalone e Nunziante sta nel potersi mettere di scherzare su tutto e di riuscire ad affrontare con arguzia, levità, rispetto e –  azzerderei a dire impegno – un arcobaleno di tematiche sociali di stretta attualità: dalla salvaguardia dell’ambiente alla difesa degli animali, dalla mafia alle unioni civili, dalla famiglia allargata all’integrazione tra culture e religioni diverse, dalla riforma delle province alla corruzione politica, fino alle più elementari regole di civiltà e buona educazione costantemente violate. Il tutto incentrando la storia sulla satira del posto fisso, vera ossessione dell’italiano medio.
Non è un caso: Luca Medici, sin dagli esordi a Zelig sapeva distinguersi dagli altri cabarettisti per genio e delicatezza. Ma senza dubbio, se avesse avuto la presunzione di fare il regista come i comici degli anni ’80, avrebbe fatto la fine di Leonardo Pieraccioni o Aldo, Giovanni e Giacomo. Invece ha scelto di formare una coppia formidabile con uno che di cinema popolare e di qualità se ne intende come Gennaro Nunziante, che si era fatto notare come attore e sceneggiatore di tre gioielli di Alessandro D’Alatri come Casomai, La febbre eCommediasexi.
Per un’ora e mezza Checco Zalone gira il mondo passando dalla Puglia alla Sardegna, da Polo Nord all’Africa Equatoriale, mettendo alla berlina tutti i luoghi comuni dell’italiano medio in modo gustoso e mai stupido, grazie a una sceneggiatura che è una macchina da guerra (e si fa perdonare qualche caduta di stile) e un cast in grande spolvero in cui brilla soprattutto la coprotagonista Eleonora Giovanardi e che si avvale di un superfluo ma gradevole Lino Banfi, uno straordinario Maurizio Micheli, Ninni Bruschetta (che è sempre Ninni Bruschetta) e una bravissima ma  sopravvalutata Sonia Bergamasco. Sopravvalutata non a caso, perché essendo l’unica attrice “seria” del gruppo, la sola che proviene dagli ambienti amati dalla critica italiana (è sposata con Fabrizio Gifuni e ha debuttato con Marco Tullio Giordana) è su di lei che si sono concentrate tutte le critiche positive del film ed è l’unica ad aver ottenuto la nomination al David di Donatello.
Alla fine qualcuno forse dirà che sì  – Zalone è divertente e parla di cose importanti – anche se, ecco, magari è un po’ buonista. Buonista, sì, perché non è qualunquista. Quindi ha persino la pretesa di lanciare un messaggio positivo. Di far ridere gli italiani di sé stessi, ma anche di invitarli a crescere un tantino.
Se Quo Vado l’avessero girato Mario Monicelli e Alberto Sordi, alla fine del film Zalone il posto fisso se lo sarebbe tenuto, il politico corrotto sarebbe stato premiato e tutta la situazione sarebbe tornata come era all’inizio del film, riavvolgendosi su sé stessa. Perché la commedia all’italiana che i cinefili oggi tanto rimpiangono era questo il messaggio che voleva dare: siamo un popolo di cialtroni e di mascalzoni, però siamo tanto simpatici e unici nell’arte di arrangiarsi. Quindi restiamo così: simpatici mascalzoni. Per rendersene conto basta rivedersi tutti i film di Sordi, da Il medico della mutua Il marchese del Grillo. Non a caso il giovane Nanni Moretti gridava in Ecce Bombo: “Ve lo meritate Alberto Sordi!”: Alberto Sordi era lo specchio dell’Italia democristiana: un’italia consapevole della propria piccolezza, ma che si autoassolveva. Checco Zalone, invece, nell’Italia grillina di oggi l’Italiano non lo assolve:  lo fa ridere, ma gli chiede una redenzione.

Checco Zalone è divertente senza essere volgare, ambizioso senza essere presuntuoso e rappresenta quell’Italia che sa ridere delle proprie miserie ma non se ne compiace, che si diverte a essere bambina ma ha voglia di crescere.