Scuola Diocesiana

Virus, biopotere, simulacro

di Eugenio Grasso

In questo nostro orizzonte postmoderno, in cui l’esperienza della società e della storia è spesso ridotta alla dimensione puntiforme del nudo presente e in cui il sentire individuale e collettivo appaiono appiattirsi sul-plusgodimento solipsistico, può accadere che eventi inattesi e scompaginanti, scuotimenti e deragliamenti, lascino emergere, sotto forma di bagliori e brevi epifanie, alcuni frammenti riposti del rizomatico percorso filosofico novecentesco.

Il coronavirus e il distanziamento sociale che ne è derivato hanno per un momento rivitalizzato le categorie del biopotere e della biopolitica, temi e motivi culturali inaugurati da Foucault e riportati in auge da Agamben e dalla c.d. Italian Theory.

Il pensatore francese, nel primo volume della sua monumentale”Storia della sessualità”, suggerisce che il paradigma della sovranità e del potere abbia subito una sostanziale modificazione nella transizione dal medioevo all’età moderna: simbolo stesso del potere sovrano, nel medioevo, era la facoltà di “far morire o lasciar vivere”. Chi mettesse a repentaglio la vita del sovrano o si macchiasse di altri gravi crimini si trovava a dover affrontare la morte, la potenza nullificante del negativo.

A partire dalla modernità, in particolare dal diciottesimo secolo, gli apparati di potere cominciano ad interessarsi alla vita dei cittadini attraverso un progressivo potenziamento della forza muscolare, del dressage, di preoccupazioni inerenti alla longevità e alla salute.

Nella nuova struttura epistemica Foucault rintraccia una certa ambiguità: la nuova impostazione liberale appare ora come fattore di umanizzazione della vita, ora come apparato macchinino di potere funzionale al nascente sistema capitalistico che richiede forza lavoro fresca ed efficiente. È a questa tradizione che si agganciano le riflessioni del filosofo romano Giorgio Agamben. Agamben manifesta nel suo: “Homo Sacer. Il potere sovrano della vita nuda” una relativa convergenza di vedute con Foucault, ponendo per altro in essere un’ operazione piuttosto ardita, quella di retrodatare sensibilmente la comparsa del biopotere sulla scena occidentale. Agamben, ci ricorda che in greco antico esistono due parole per indicare il termine vita : bios e zoé. Zoé è il mero vivere naturale che accomuna animali, uomini e dei, bios è la vita qualificata, sociale, fonte di appagamento. Evoca la figura del Homo Sacer: colui che non può essere sacrificato ma è tuttavia uccidibile.

Ebbene, secondo il filosofo romano(che non disdegna di confrontarsi su questo tema con autori del calibro di Carl Schmitt e di Walter Benjamin) nelle fasi di “stato di eccezione” (guerre, epidemie, etc.) il potere sovrano manifesta il suo volto più fosco e più violento, riservando ai portatori di zoé, nuda vita, il destino dell’annichilimento.

Non sorprende che in occasione dell’epidemia coronavirus, Agamben sia apparso ripetutamente con articoli dal sapore anche acremente polemico; d’altra parte gli elementi ci sono tutti: stato d’eccezione, politicizzazione e medicalizzazione della vita, misure restrittive interpretate come costrizione alla nuda vita a discapito del bios.

Il filosofo mostra maggiore apprezzamento per i governi britannico e svedese, decisamente meno rigidi nell’imposizione di misure restrittive. È su questo punto che non solo la posizione di Agamben ma l’intero statuto del biopotere appaiono aporetici e certamente bisognosi di adeguata rilettura: l’assunto di partenza, quello di sacrificare individui fragili ed anziani, incapaci di contribuire al folle gioco dell’economia mondializzata, non costituisce forse esso stesso il nucleo più oscuro ed inquietante del biopotere fino al limite dell’eugenetica?

Non è certo in nome del bios, della vita qualificata ed appagante, del vivificante gesto dionisiaco che i dirigenti di quei paesi hanno maturato le loro decisioni.

Ecco dunque che l’emergenza legata al virus ci impartisce una lezione storico/etica: per quanto elementi di continuità si possono ravvisare nella biopolitica, non è possibile tracciarne un continuum initerrotto ed invariante dalla Grecia arcaica ai giorni nostri.

Sebbene anche nelle democrazie liberali si dia un’ambiguità dialettica di pratiche di dominio sul corpo dei cittadini e di doverosa cura della loro salute, questo secondo aspetto non si dovrebbe sottovalutare: il diritto alla salute è uno dei momenti cardini delle nostre costituzioni.

D’altra parte ben si intende come la diade zoé/bios non costituisce un aut aut. Essa deve essere interpretata dialetticamente: bios, la vita qualificata, non è nemmeno concepibile al di fuori della mediazione della zoé, la vita tout court.

Come l’esempio della biopolitica ci mostra, non credo potremo sperare che la pandemia ci conduca verso una radicale palingenesi della nostra prassi e delle nostre idee: l’ordine mondiale di potenze in continuo e disperato antagonismo economico e geopolitico, così come l’orizzonte della sensibilià che lo sorregge, appare effimero e granitico al contempo.

Tuttavia sussistono senz’altro dei nuclei di esperienza che potrebbero contribuire a riorientarci: abbiamo affrontato il paradosso dell’iper responsabilizzazione individuale di fronte a dinamiche di sistema che tendono a schiacciare l’individuo astratto ed isolato: ne traiamo l’insegnamento che un ordine sociale fondato sulla diretta contrapposizione tra sistema socio economico e Lebenswelt (mondo di vita) non può funzionare; urge ravvivare, proteggere, ricostituire quelle agenzie di socializzazione intermedie (famiglia, associazioni, sistema scolastico) di cui mai come oggi abbiamo avuto bisogno come fattore essenziale di mediazione.

Il paradigma di Beaudrillard, incentrato sul concetto di simulacro deve anch’esso essere rivisto: se la guerra del golfo “non è mai esistita”, la pandemia è esistita eccome! Non è più adeguato parlare incondizionatamente di segni privi di referente in un contesto funestato dalla fisica ed immediatamente brutale pratica delle intubazioni che, in fondo, nonostante la potenza della falsificazione mediatica ci è giunto, a tratti, nella sua terribile spietatezza e verità; lo stessa dicasi dei lugubri lamenti delle ambulanze nelle surreali notti di Bergamo. Dunque, se si è, al meno parzialmente, ricostituito un margine tra realtà e parvenza, tra essere e manipolazione, è certamente nel cuore di quel margine che dobbiamo concentrare la nostra attenzione critica; è proprio lì che possiamo e dobbiamo pretendere di esercitare il nostro diritto di verifica delle prassi politiche, economiche e sanitarie.